domenica 22 gennaio 2012

Out-take #5

Gli alberi facevano sflush, che pareva d’esser in mare aperto. Pure la sedia ondeggiava, se chiudevi gli occhi. Solo tirava un gran vento sull’erba medica mezza bruciacchiata, sui peschi carichi di frutti non ancora maturi, sui noci alti e diritti. La vallata, che si apriva generosamente agli occhi semichiusi, era nitida e perfettamente a fuoco. Il marrone scuro della terra arata, il verde opaco delle vigne, il giallo ocra del grano, quello appena più chiaro dei girasoli, ogni colore appariva perfetto, rotondo e appagante. Era bello tornare nella misura in cui era bello partire sapendo di poter tornare ancora. Una sorta di assioma sulla teoria degli opposti, il piacere che non è tale se non c’è dolore, una metafora sul viaggio condensata in una banalissima suggestione del cervello, una sinapsi lunga un millesimo di millisecondo. Sono felice perché so che domani parto ma poi ritorno. Le colline erano esattamente come le avevo lasciate l’anno prima. Solo qualche albero poco più avanti a me, proprio dove cominciava la discesa, mi sembrava leggermente cresciuto. La grande casa alle mie spalle incombeva con tutto il suo enorme peso di mattoni, finestre, mobili e ricordi. Ogni volta era come entrare nella cabina del teletrasporto sgranocchiando biscottini proustiani. Ogni volta era una scoperta. Di cassetti inesplorati, mensole nascoste, scatoline di metallo decorato mai aperte. Ogni volta erano collisioni in fase rem - come se le pareti della camera da letto creassero campi magnetici di stimolazione dell’attività onirica - io inconsci che proferivano verità assolute rapidamente eleborate e dimenticate dopo pochi secondi di veglia. Fantasmi, niente di più. Un lampadario in ferro battuto, una cassapanca di ciliegio, due rotoli di carta da parati. Un righello di legno, una Madonna dipinta a olio. La raccolta completa della Settimana Illustrata, cappellini di paglia, pacchi di cartoline scritte in tempo di guerra. Ogni cosa a suo posto, eppure ogni volta con un qualcosa di diverso. Fantasmi birichini che giocano a confondere e a mischiare le carte in tavola. Si vedeva fino alle montagne innevate, cento e più chilometri in linea d’aria. Il vento aveva spazzato via tutto, asciugato le nuvole. Sflush, chiusi gli occhi e tornai a farmi dondolare sul mio vascello.