domenica 22 gennaio 2012

Out-take #3

Spiare la felicità altrui è diventato sport nazionale. Miliardi di terabyte, miliardi di sorrisi e foto in posa, ubriachi, alticci, brilli, sotto effetto di psicofarmaci e, infine, semplicemente felici, anche se solo per la durata dello scatto. Una frazione infinitesima di tempo, qualche millisecondo. Di fatto è un problema di contesto, ogni sorriso va contestualizzato e inserito in un sistema, in un macroinsieme di sorrisi che a sua volta è contenuto da un supermacroinsieme di facce e disposizioni d’animo. In un certo senso spiare la felicità o l’infelicità altrui è la base di molte cose. Pensavo a questo mare di idiozie mentre facevo ritorno a casa, di nuovo. Eccomi qua. Di nuovo a casa, di nuovo sospeso. Meglio, non sono proprio a casa, non ancora. Sono di nuovo sulla soglia, con la porta davanti a me, il campanello cromato sulla destra, il mio nome scritto in stampatello maiuscolo sopra quello di mia moglie, lo zerbino con scritto “bentornato a casa papà” sotto i miei piedi, una lampadina a risparmio energetico dentro una lanterna in stile vecchia fattoria che mi illumina i capelli bianchi. Se non sapessi come mi chiamo questa potrebbe essere la casa di chiunque. Ma il mio nome me lo ricordo bene, altrochè. Se non me lo ricordassi potrei spiare ciò che accade dentro questa casa e valutare in modo asettico e oggettivo quanta felicità o infelicità vi intravedo. Le finestre della sala lanciano bagliori catodici, a intermittenza. Mia moglie è quasi sicuramente sdraiata sul divano marrone, quello sul quale i nostri figli hanno pisciato, vomitato, si sono masturbati, hanno giocato alla Playstation e guardato le partite. Davanti a lei, sul tavolino di cristallo della nonna, c’è una bottiglia di vino rosso aperta e un bicchiere colmo. Sta guardando una serie tv, una di quelle col finale malinconico che ti insegna qualcosa lasciandoti l’amaro in bocca. Ne è passato di tempo. Quante volte ho avuto paura di trovarla in compagnia di uno dei suoi amanti. Me ne stavo lì impalato sulla soglia e cominciavo a fare rumore con le chiavi o a simulare attacchi improvvisi di tosse. Oppure mi mettevo a sistemare la spazzatura o a fare qualsiasi cosa che potesse dare il tempo a mia moglie di rivestirsi o semplicemente far uscire dal retro l’uomo di turno. Non avrei mai potuto sopportare la scena, anche se me l’ero immaginata migliaia di volte. Mia moglie che gli sussurra nell’orecchio prendimi da dietro qui, sul divano, perché vuole contemporaneamente salvare l’integrità del talamo, preservare le lenzuola dello stesso dagli umori sessuali che di lì a poco sarebbero sgorgati in quantità e aizzare ulteriormente quell’uomo timido prima che potesse avere dei ripensamenti. In fondo per un uomo l’idea di prendere da dietro la moglie di qualcun altro è senz’altro più eccitante che ritrovarsi faccia a faccia nel letto matrimoniale con le foto di battesimi e parenti in bella vista. Poi ingoiavo quelle immagini - grosse come meloni nei primi anni, più sopportabili man mano che i capelli si ingrigivano - ripromettendomi di non farle tornare mai più. Avvicinai la mano al campanello, poi cambiai idea. Tirai fuori le chiavi, facendole roteare per trovare quella giusta. Dalla sala i bagliori smisero all’improvviso e io entrai nella completa oscurità.